domenica 10 giugno 2012

Abruzzo: La via Valeria, il Sirente Velino, l’aquilano - Parte 2



La mia prossima meta, Fontecchio, pare essere uno dei borghi più suggestivi del Parco Sirente Velino. Per arrivarci, supero Santa Maria del Ponte e mi immetto sulla SR261, direzione nord: poche curve, zero pendenze, guida rilassante. Perfetta per riflettere su quale trattoria visitare per saziare la mia fame che, dopo la tensione della discesa delle Pagliare, sembra implacabile. A Fonticchio scorgo un biker solitario che esce da una casa in sella alla sua splendida Moto Guzzi Griso nera. Veste una tuta da moto e un casco “serio”, sembra affidabile. Lo affianco, saluto e chiedo una dritta sulla migliore osteria casereccia del posto: “C’è da fare 2 chilometri. È un po’ fuori dal paese”, risponde. Si chiama Gianfranco e proprio in quel momento si appresta a iniziare un bel giro nei dintorni del suo paese per godersi il mitico bicilindrico a V Guzzi. Gli chiedo di andar piano perché, dopo l’offroad, sono rigido come le doghe di una rete ortopedica. Lui è sorpreso, guarda la Scrambler con perlessità e ammirazione, come a voler comprendere se davvero sia possibile percorrere l’ippovia su un “cancello” del genere.


 

Gianfranco mi accompagna generosamente fino a Fagnano Alto, al Ristorante “Il Castello”, dove vivo la solita situazione imbarazzante: sono le 15 passate e gli ospiti del ristorante sono già andati tutti via. Temendo di essere cacciato come un sorcio, trovo invece un’ospitalità quasi esclusiva. Il locale è elegante e curato: tovaglie bordeaux, pareti chiare, mobili antichi. Il titolare mi offre subito un bel tavolo accanto alla finestra con “vista moto” e mi racconta che in quella struttura un tempo sorgeva la scuola del paese. Sono l’unico cliente in una sala di almeno 30 metri quadrati e mi sento come un principe! Pranzo eccezionale: mix di salumi e formaggi umbri, bruschette funghi e mozzarelle con scaglie di tartufo, insalata di grano con verdure crude e un primo piatto delicato ma genuino: tagliolini zucchine e zafferano. Tutte specialità tipiche della Valle dell’Aterno con ingredienti a filiera corta. Il titolare, probabilmente mosso a compassione dalla mia fame - neanche fossi Terence Hill in Trinità - mi intrattiene con parecchie curiosità sulla zona e non nasconde la preoccupazione per la crisi di un territorio che dopo il terremoto del 2009 ha subito un pesante calo di visitatori, soprattutto tra i “turisti del weekend”, benestanti romani che nel finesettimana, con tutta la famiglia, popolavano le seconde case, oggi quasi completamente inagibili.
Fagnano è un posto rilassante e silenzioso, mi fermerei qui per una villeggiatura a tempo indeterminato… Sogni galoppanti, probabilmente stimolati dalla digestione. Un indispensabile caffè mi riproietta in sella alla Scrambler.
  

Torno sulla SR261, attorno a me colori scintillanti: un contrasto degno della migliore tela di Van Gogh, con papaveri rossi che spezzano il verde rigoglioso dell’erba primaverile, quello più scuro delle chiome fruscianti degli alberi e il limpido blu del cielo abruzzese. Prima di muovere a nord verso il capoluogo aquilano, torno indietro verso Fontecchio dove visito il piccolo borgo. Nella piazza centrale parcheggio la Triumph: nonostante gli scarichi originali, sembra fare una caciara poco rispettosa per una simile quiete. A piedi aggiro il bar del centro, dove una guida racconta la storia di quei luoghi a un gruppo di tedeschi accaldati, e ritrovo i due viandanti incontrati in cima alla montagna: sono olandesi e camminano da ben cinque ore sotto il sole, difesi da ampi cappelli e armati di bacchette. Mi invitano a visitare Amsterdam in moto: forse, un giorno. Il mio cuore inizia a farsi piccolo quando mi addentro tra le mura del borgo. È praticamente semi abbandonato, molte case sono lesionate e sorrette da impalcature di sicurezza. Un vero peccato. Spero che qualcuno prima o poi possa ridar vita a questo borgo così suggestivo.
Da qui in poi inizierà un percorso fatto di distruzione, di ferite alle strutture, agli edifici e alle cose, che purtroppo ha irrimediabilmente causato anche vittime umane. Quello che vedrò richiederà occhi diversi dal solito e un animo forte, in segno di rispetto verso la gente abruzzese cui desidero, a modo mio e con rispetto, offrire solidarietà.


 

Lascio Fontecchio, in paese mi suggeriscono di raggiungere il capoluogo passando per San Donato ne’ Vestini. Lo scenario lungo la strada regionale diventa più anonimo, la natura lascia spazio a spianate, agglomerati commerciali, capannoni. All’incrocio con la SS17, l’occhio cade immediatamente sulle celeberrime villette a schiera, tutte colorate e disposte sulla collina, costruite per le famiglie aquilane rimaste senza tetto. Ai margini della regionale è una collezione di vecchi edifici pericolanti e messi in sicurezza, ai quali si alternano strutture completamente nuove, costruite da non più di due anni. Un contrasto molto forte.
Quando a una rotonda noto le indicazioni per Onna, non so se proseguire o meno. Per rispetto decido di fermare la moto all’ingresso del paese. O meglio, di ciò che è rimasto del paese, dove il sisma provocò il più alto numero di vittime, ben 40. Solo macerie, polvere e transenne. È raso al suolo e sono passati tre anni. La zona rossa vieta l’accesso ai non autorizzati, tuttavia c’è un via vai di gente laboriosa che carica e scarica auto o furgoni, che entra e esce da vicoli ormai senza confini. Dalle macerie emergono mura ancora piastrellate, lavelli, tubi dell’acqua, anfratti domestici che suscitano il dramma vissuto da persone come noi che qui hanno perso tutto, casa e affetti. Mi viene in mente la canzone di Laura Pausini, Donna d’Onna: “Dentro ai tuoi occhi ritorna, luce che ferma la terra. E per la vita resterà”.
Sono di nuovo sulla statale 17 Est, quando resto colpito da una serie di casette a schiera in legno verniciato di un turchese vivace. Sono disposte in tre o quattro linee. Sono molto più graziose e dignitose dei container che in passato avevo visto in Irpinia. Alcune hanno di fronte un prato  e giochi per i bambini, altre un parcheggio asfaltato. Fuori dalle porte coppie di anziani seduti sulle sedie di legno ad attendere chissà cosa. Quello che mi lascia perplesso è che ogni palazzina reca un grande cartello con un numero progressivo, partendo dall’uno in poi. Come fossero padiglioni di una fiera. Non mi spiego il senso, ma probabilmente risulterà utile a chi in quelle case ci vive o a chi le amministra.
L’ultima località nei dintorni del capoluogo che decido di visitare è Paganica, altro centro fortemente colpito dal sisma di tre anni fa. Sembra messo meglio di Onna, è più grande, molte case sono abitate e la vita sembra scorrere regolarmente. Quando raggiungo la facciata della Chiesa della Concezione, resto sbalordito per i gravi danni strutturali che riporta. Mi fermo solo qualche istante e, ancora scosso dalla visita a Onna, decido che non occorre più andare oltre.
È ora di raggiungere l’ultima meta del mio emozionante viaggio in queste terre, L’Aquila. Rappresenta l’emblema della distruzione e del dolore ma, grazie al coraggio e alla generosità della gente, anche della speranza e della voglia di continuare a vivere.


 

Quando arrivo alla Fontana Luminosa mi sorprende il fatto che il centro della città sia aperto al traffico pedonale. Solo dopo scoprirò che molti aquilani sospettano si tratti solo di una manovra elettorale.
In piazza Battaglioni Alpini sono parcheggiate già diverse moto, enduro e gran turismo, segno che qui è tornato anche un po’ di turismo. Non so come, mi ritrovo in via San Martino, dove decido di fermare la Triumph. Giusto il tempo di svestirmi dall’abbigliamento tecnico e inizio a realizzare. Non credo ai miei occhi: l’antico edificio sotto il quale ho parcheggiato la moto un tempo era un condominio, ma adesso tutte le porte e le finestre sono spalancate, tutta la struttura è puntellata, ogni finestra e messa in sicurezza con assi di acciaio e legno. Anche al suo interno l’edificio è completamente farcito di tubi innocenti che reggono pareti e solai. Si intravede quel che resta di un mobile e altri dettagli che testimoniano che lì dentro prima del sisma scorreva la vita. Mi impressiona notare il citofono del palazzo ancora al suo posto, con nomi e cognomi degli inquilini ancora perfettamente leggibili.
Di fronte, un panificio e una ricevitoria tabacchi chiusi con i vetri impolverati e le insegne malinconicamente sbilenche. A fianco, un grosso container industriale stracolmo di detriti, uno dei tanti di cui la città è ancora disseminata.



Appena metto piede lungo corso Vittorio Emanuele, realizzo che tutto il centro storico della città è un quartiere fantasma. Le mura esterne degli edifici secolari sono ancora tutti in piedi, ma solo grazie a un’infinità di pilastri d’acciaio, puntelli, scudi anticrollo, fasce di contenimento e sostegni di ogni forma e materiale. Al loro interno solo un fitto sistema di tubi per scongiurare il pericolo di nuovi crolli. Negozi, botteghe, locali pubblici e bar, abitazioni, uffici pubblici e privati, studi professionali, chiese: nulla è più dov’era e nessuno può più metterci piede.
Adesso che le strutture sono sicure per i pedoni, molte strade sono state ripulite e gli aquilani e i turisti sono tornati ad animare questo luogo prima inaccessibile. Le fontane, i pochi container e le recinzione sono rivestiti di centrini di lana colorata intrecciati dagli aquilani per abbellire il grigiore post sismico. Si respira un clima positivo tra la gente, non sembra esserci rassegnazione a un simile scenario architettonico, ma voglia di reagire, di ricostruire, di riportare alla vita il quartiere e la città intera guardando al futuro con entusiasmo.



A piazza Duomo leggo tutto con più chiarezza: intorno i palazzi storici, feriti e fasciati come reduci da un bombardamento; al centro, incurante delle reti, delle transenne e delle zone rosse, la gente partecipa accorata a uno spettacolo di majorette e sbandieratori mentre i bambini giocano tra le giostrine ambulanti. La parola giusta è: riscatto.
Ho deciso di non pubblicare le immagini degli effetti del terremoto in segno di rispetto. Il messaggio che vorrei lanciare è quello di visitare L’Aquila non per ciò che ha subito ma per ciò che ancora è in grado di offrire, per portare vitalità e solidarietà a una popolazione coraggiosa. Un modo concreto per reagire anche di fronte al recente, devastante sisma ha colpito l’Emilia Romagna.


 

Sono emotivamente e fisicamente esausto: in poche ore sono passato dall’adrenalina dei tornanti appenninici e degli sterrati di montagna all’angoscia delle macerie nelle città terremotate. Però mi sento sereno e con un’esperienza di cui fare tesoro. Oggi l’Abruzzo è una terra che esprime i due volti della natura: quello meraviglioso dei parchi appenninici e quello distruttivo che abbatte case e miete vittime. Per questo, nel bene e nel male, va sempre rispettata.

© Riproduzione riservata

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Leggi la prima parte del racconto

Informazioni utili:

Dove mangiare:
Ristorante Il Castello, Fragnano Alto – fraz. Castello (AQ), tel 0862 86404 / 86331.
Costi del viaggio: carburante 38 euro, pranzo e bevande 24 euro.
Chilometri percorsi: 90 (parte 1) + 45 (parte 2)



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