giovedì 18 aprile 2013

Lazio: Muddy sunday al lago di Vico (VT)


Un mese di marzo così piovoso non si vedeva da tempo. Ho pazientato, ho preso la pioggia in moto per andare a lavoro praticamente ogni giorno, ma senza fiaccarmi. È bastato pensare al mio amico Steve, che tutti giorni guida la sua Suzuki Bandit a Dublino, in Irlanda, dove il sole certo non è ospite fisso. Ho aspettato il primo vero weekend di primavera per tirar fuori dal garage la Scrambler, lercia e ingrigita dalla tanta acqua raccolta durante le ultime settimane, per un bel giretto. Finalmente andiamo a divertirci baby!
Ieri sera era molto tardi e sono già le 11 passate, a momenti si pranza. Per saltare un pasto e dedicare più tempo al riding, vado di colazione ipercalorica, e a mezzogiorno sono in sella! Vai cor gasse.
Vado a nord e, anche se mia sorella mi sfotte perché snobbo il mare, punto le ruote verso la Tuscia viterbese: autostrade, caselli, vialoni e semafori, vietati. Esco da Roma più in fretta possibile, comincio a far divertire la Triumph solo sulle strade semideserte di campagna fra Tragliata e Tragliatella. Il twin britannico gira fluido lungo la SP15b fino alla via Braccianese, dove il traffico dei turisti della domenica pare già sopito. Sfilo Bracciano, entro in riserva, giro il rubinetto della benzina allungando la mano sotto il serbatoio mentre sono ancora in movimento. Incrocio pochi motociclisti, come al solito i più presenti sono gli harleysti, seguiti a ruota dalle supersportive e dai giessisti.
Ecco la via Claudia, passo Manziana e Oriolo Romano e faccio benzina a un self service low cost. Sbircio la serenità domenicale della gente, le grigliate in giardino o i clienti fuori dalle pasticcerie col vassoio di paste in mano.
Fortuna che non ho rimandato il pieno: a Vejano il minuscolo distributore del paese non ha l’automatico.
 
 
Proprio mentre penso che potrò divertirmi solo in prossimità del lago, un’illuminazione mi sorprende! Dal ponte che segue di pochi metri l’incrocio con Barbarano Romano, spunta fuori un interminabile rettilineo sterrato a due corsie che passa proprio là sotto. Sgrano gli occhi, giro a zonzo per trovare l’accesso alla strada bianca e lo scovo in prossimità di una stazione ferroviaria diroccata. Si tratta della vecchia ferrovia che collegava Orte e Capranica a Civitavecchia, chiusa negli anni ’60, in seguito a una frana, e mai più riaperta. Non esistono nemmeno più i binari, solo un lungo, polveroso rettilineo.

 
È uno dei più bei momenti della giornata: sedere alto, arretrato sulla sella, a tutta birra lungo la vecchia ferrovia abbandonata, con gli insetti che si spiaccicano sulla visiera del casco, i rami che raschiano la giacca di pelle e una scia di polvere bianca sparata in aria dalla ruota posteriore, visibile dagli specchietti.
Il sole primaverile è tiepido ma bisogna fare attenzione: sotto alcune zone d’ombra, emergono pozze d’acqua che invadono l’intera carreggiata.


Dietro uno stretto passaggio tra i cespugli, ecco un’enorme landa assolata: la fusione tra verde prato e giallo margheritine di campo crea il tipico effetto multicolor di primavera, contro cui nulla può l’ombra solitaria di un albero secolare. Metto la Triumph sul cavalletto, tiro via la chiave dal blocchetto di accensione, sfilo guanti e casco e a piedi raggiungo il grande leccio. Sotto gli stivali sento il “ciaf ciaf” della terra zuppa d’acqua. Nessun altro rumore oltre al soffio del vento.


Torno in sella tra fango e polvere e mi ritrovo presto all’ingresso di un tunnel ferroviario, uno vero, ma senza treno che passa… Prudentemente accosto la moto al margine della strada e mi avvicino sulle mie gambe alla galleria per esplorarne l’interno. Cammino per un centinaio di metri, il tunnel è totalmente buio, in fondo nessuna luce. Infiltrazioni di umidità e reverbero producono un rilassante concerto di gocce d’acqua che si scagliano sul terreno. Mi sembra che non sia troppo rischioso entrare in moto, così torno indietro, ingrano la prima e mi avventuro all’interno. Il frastuono del motore che rimbomba e il rischio di impantanarmi all’improvviso lì dentro sono talmente esagerati che, da solo, non mi fido a proseguire. Marcia indietro, ancora due o tre traversi in accelerazione sulla polvere e rientro sulla SS493.


Mi rilasso sui tranquilli rettilinei della statale, all’incrocio con la Cassia seguo le indicazioni per il Lago di Vico, l’unico specchio d’acqua nel territorio laziale che non avevo ancora mai visitato. Luogo eccezionale, purtroppo recentemente vittima di cattive notizie sullo stato di salute delle sue acque, pare inquinate da una elevata concentrazione di arsenico. Agghiacciante.


Dentro la riserva naturale guido lungo bellissime curve tra boschi di faggio e cerro. Poi raggiungo la riva: per fortuna nessuno spiacevole incontro con la famigerata alga rossa che tanto preoccupa la popolazione locale.
Mi piace molto questo lago di origine vulcanica, il più alto (507 mt s.l.m.) del nostro paese. Percorrendo il perimetro, è evidente quanto sia valorizzato e curato e soprattutto quanto sia magnificamente vivibile per turisti e per la gente comune.


Ci sono tutti: surfisti, velisti, canoisti, pescatori, innamorati che passeggiano romanticamente, famiglie che alimentano la brace nelle aree attrezzate, naturalisti, birdwatcher, single che passeggiano (con) il cane. Ma anche pastori con le greggi, guardaparco e forze dell’ordine. Tant’è che mi permetto di infrangere il divieto di accesso a un sentiero del parco una sola volta e solo per poche fangose centinaia di metri, giusto per avvicinarmi il più possibile alla celebre zona palustre a nord del lago. Uno spettacolo.


Mi libero di tutto l’abbigliamento di protezione, parcheggio la Scrambler sotto l’ombra a raffreddare e me la godo a lungo su una delle spiagge del lago. Scatto qualche foto, lancio sassi in acqua, mando un paio di whatsappate, poi mi sdraio comodo sullo scafo di una barca rovesciata a terra. Manca solo il fiore in bocca, che però rimpiazzo con un Chupa Chups alla ciliegia.
Trascorro più tempo del solito ad oziare beato e interrompo la meritata dose di fancazzismo panoramico solo quando lo stomaco inizia a bussare.


Istintivamente decido di fare un salto a Ronciglione per spararmi un cornetto Algida e una spremuta di arancia, seduto al tavolo di un bar lungo l’immancabile via Roma. Il paese è tranquillo.
Solo lungo la strada del ritorno verso la capitale, rigorosamente alternativa alla via Cassia, mi viene in mente che la località vicina al lago da visitare era Caprarola, con il suo bel Palazzo Farnese. Ops!
Un motivo in più per tornare presto a visitare un territorio in cui la natura ha ancora spazio, tempo e dimensione. Mi auguro che qui si vincerà la triste battaglia contro l’avidità umana, mai sazia di minacciare e avvelenare le poche oasi sopravvissute fino ai giorni nostri.

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Informazioni utili:
Dove mangiare e dormire: Albergo La Bella Venere, Loc. Scardenato snc, Caprarola (VT), tel 0761 612342, www.labellavenere.it.
Costi del viaggio: carburante 10 euro. Cornetto Algida, spremuta, e Chupa Chups: 5 euro.
Chilometri percorsi: 32 (85 da Roma).
 
 
 
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